Mr. Tamburino non ho voglia di scherzare rimettiamoci la maglia i tempi stanno per cambiare siamo figli delle stelle e pronipoti di sua maestà il denaro. Per fortuna il mio razzismo non mi fa guardare quei programmi demenziali con tribune elettorali e avete voglia di mettervi profumi e deodoranti siete come sabbie mobili tirate giù C'è chi si mette degli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero com'è difficile restare padre quando i figli crescono e le mamme imbiancano. Quante squallide figure che attraversano il paese com'è misera la vita negli abusi di potere. Sul ponte sventola bandiera bianca sul ponte sventola bandiera bianca sul ponte sventola bandiera bianca sul ponte sventola bandiera bianca. A Beethoven e Sinatra preferisco l' insalata a Vivaldi l' uva passa che mi dà più calorie com'è difficile restare calmi e indifferenti mentre tutti intorno fanno rumore in quest'epoca di pazzi ci mancavano gli idioti dell'orrore. Ho sentito degli spari in una via del centro quante stupide galline che si azzuffano per niente minima immoralia minima immoralia e sommersi soprattutto da immondizie musicali. Sul ponte sventola bandiera bianca...... minima immoralia... The end my only friend this is the end
Questa stringa di segni e lettere apparentemente mischiati alla rinfusa senza formare alcun apparente significato contiene uno spicchio di male. Ci si va sopra con il cursore, una lieva pressione del dito e la stringa sboccia come un fiore: sbocciano le immagini di un rastrellamento di palestinesi. Di un uomo che viene trascinato via dai militari israeliani mentre protesta. Di un bambino che urla, si ribella, si aggrappa a suo padre per non farselo portare via. Di militari che lo afferrano e lo allontanano. Di chi la violenza la subisce e chi la fa. Uno sguardo pietoso o mercenario ha racchiuso quella scena in un video e l'ha scagliata tra le onde del web, che la sta propagando in cerchi sempre più ampi. E tutto il mondo rimbomba del pianto di quel bambino. Si ode qualche parola concitata del padre mente lo stanno portando via, forse una parola di consolazione a suo figlio, o qualche raccomandazione ai suoi cari, o una bestemmia e poi niente altro. Le urla delle vittime e il silenzio dei colpevoli. Che tacciono mentre fanno coscienziosamente il loro lavoro, senza metterci nemmeno un grammo di brutalità in più. Un giovane militare afferra il bimbo per le braccine e lo separa da suo padre, forse gli dice pure "Non piangere, papà ritorna, vedrai!". Il bimbo cade a terra, ma siamo poi tanto sicuri che sia stato spintonato? Forse è stato solo involontariamente colpito dalla mano che stava cercando di non fargli raggiungere il padre. Una rapida occhiata per controllare di non aver combinato un guaio, è sempre una rogna se si ammazza un bambino, e poi via, a finire il compito assegnato. Una roba quasi pulita, c'era più violenza nelle manganellate agli Aquilani. Un lavoro fatto bene senza inutile spargimento di sangue, se c'era da sparare lo si faceva, senza godimento e senza dolore, ma meglio così, che non si sprecano le munizioni. Cosa riserverà la sorte a quel padre e a quel bimbo privato di affetto e mezzi di sostentamento quei militari non lo sanno, non lo vogliono sapere e anche se volessero saperlo non sarebbe di loro competenza, sono responsabili solo dell'efficiente e puntuale esecuzione degli ordini impartiti, che se eseguiti bene danno diritto ad una promozione, un avanzamento di carriera o ad un'altra ricompensa. Non sono mostri quei militari, sono travet del male, gente che mette solo un tassello all'immenso mosaico della perfidia del mondo, ma non sono responsabili nè del disegno, nè dei colori che ne verranno fuori. Devono pensare solo a mettere bene la loro tessera. Perché il male non ha le corna, la coda e i piedi caprini, ma è solo un grande apparato in cui si è irregimentati, una roba noiosa come le otto ore di ufficio, non è gente strana quella che fa le grandi porcate, è gente che timbra il cartellino. Come ad Abu Ghraib. "Se l'intelligence militare ti chiede di fare una cosa non puoi far altro che obbedire. Ridevo per sopportare quello che facevo" ha dichiarato Charles Graner, uno dei torturatori. "Quelle immagini? Era il mio lavoro. Eseguivo gli ordini, io non ho colpe" ha fatto mettere a verbale Lynndie England, secondina di quel carcere dove si facevano tutte quelle belle robe. E poco importa se ti piace o ti fa schifo, ci sono impiegati motivati e altri meno, ma poi alla fine fanno tutti la stessa cosa. E ogni volta che la televisione o Youtube ci mostra uno spicchio di male rimaniamo increduli e impietriti come se quella violenza venisse da una strana razza di alieni. E invece non solo è roba umanissima, ma anche ordinaria, stupida e, benedetta Arendt, banale: "E' anzi mia opinione che il male non possa mai essere radicale, ma solo estremo; e che non possegga nè una profondità, nè una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo nella sua superficie. E' una sfida al pensiero, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che si interessa al male viene frustrato, perché non c'è nulla. Questa è la banalità. Solo il bene ha profondità e può essere radicale". Rileggo queste righe e non posso fare a meno di pensare che il mondo poco profondo, senza ancoraggi, fluido della globalizzazione sia un terreno ancora più fertile di quello del secolo scorso per incubare il male. Che quel mondo liquido da cui stanno evaporando tutti i valori e che rispetta solo le leggi della competizione sia lo scenario più adatto a rappresentare l'insulsa commedia del male. Che quel mondo che sta recidendo tutte le radici covi il male per sostituirlo al senso.
..è colpa di quei fisici e di quella teoria della sincronicità per cui le particelle sono collegate tra loro; non si può scoreggiare senza cambiare l’equilibrio dell’universo.
disiniteresse per il presente e mancanza di prospettive per il futuro
Il termine
Il termine, nel greco classico, designa la negligenza, l'indifferenza, la mancanza di cure e di interesse per una cosa. Designa inoltre l'abbattimento, lo scoraggiamento, la prostrazione, la stanchezza, la noia e la depressione dell'uomo di fronte alla vita. Élosmarrimentoestremo: si produce uno stato d'animo che intacca e rischia di disorientare tutto ciò che raggiunge. Due conseguenze tipiche sono l'instabilità e il disprezzo per gli impegni della propria vita.L'uomo non padroneggia più la vita; le vicende lo avviluppano inestricabili, ed egli non sa più vederci chiaro. Non sa più come cavarsela in determinate vicende della propria esistenza; e il compito a lui affidato gli si erge davanti insuperabile, come la parete di una montagna.
Le manifestazioni e le conseguenze dell'accidia
L'accidia ha un carattere complesso e confuso: è un miscuglio di pensieri provenienti da forze diverse. Chi è colpito dall'accidia avverte un senso di disordine e di illogicità in cui si intrecciano reazioni contrastanti: si detesta tutto ciò che si ha e si desidera ciò che non si ha.Si percepisce che tutta lapropriaesistenzaperdeditensione, è come allentata in un senso di vuoto, nella noia e nella svogliatezza, in una incapacità di concentrarsi su una determinata attività, nella spossatezza e nell'ansia. Viene a mancare un punto di attrazione, un polo che catalizzi tutte le componenti della persona, e questa perdita di scopo sembra trascinare tutto in un vuoto senza fine. A causa dell'angoscia e dell'ansietà, la vita appare senza più punti sicuri, senza certezze, come appoggiata su di una superficie fluttuante.
Altri sintomi dell'accidia sono l'indifferenza è l'instabilità. Questa instabilità si manifesta in diversi modi: dal cambiare casa o lavoro, al fuggire verso situazioni ritenute ideali; dall'instabilità di umore all'instabilitàdigiudizio; dall'instabilità nei rapporti interpersonali alla sfiducia verso se stessi. Anche la ricerca di sempre nuove emozioni e divertimenti e la paura di lasciare spazi vuoti da impegni sono palliativi di fronte a una situazione esistenziale che si minaccia vuota e priva di senso. Pascal diceva "Ho scoperto che tutta l'infelicità degli uomini deriva da una sola causa, dal non saper starsene in pace, in una camera". Un ultimo sintomo dell'accidia è lo sconforto: l'impossibilità per l'uomo di vedere qualche cosa di buono e di positivo: tutto viene ridotto al negativismo e al pessimismo. L'insoddisfazione diventa la modalità normale di affrontare l'esistenza, e spesso anche ogni possibilità di futuro diventa inimmaginabile.
Le cause dell'accidia
Una realtà complessa come l'accidia trae origine da numerosi fattori. Tuttavia, una delle cause più frequenti è l'amore smodato per se stessi, quella passione per se stessi che porta ad essere prigionieri del proprio io. Questo amore di sè è in fondo il vero idolo che minaccia la nostra vita. Se l'io è il centro assoluto del proprio mondo, allora si valuta ogni cosa in funzione dei propri bisogni, della propria idea, dei propri desideri e giudizi. Ci sono inoltre due cause, apparentemente contradditorie, che favoriscono l'accidia, e sono l'ozio e l'attivismo.
L'ozio è la mancanza di occupazioni, di interessi, ma soprattutto una realtà che rende la vita quotidiana amorfa e trascinata. Davanti ad ogni prerogativa l'ozioso si chiede "a che pro?" e trasforma la propria vita in un deserto.D'altra parte, lavoro e impegni eccessivi, che disperdono e creano molti punti di riferimento non collegati tra di loro, possono provocare uno stato di accidia: ci si è dati un compito al di là delle proprie forze e si crolla.
Le soluzioni per combattere l'accidia
L'equilibrio, la discrezione e la moderazione permettono di dare una misura alla propria vita e a ciò che si fa. Si tratta di quella saggezza che nasce dalla consapevolezza dei propri limiti e delle possibilità che sono in noi, e permette un reale dominio di sè.Molti autori insistono inoltre sulla necessità di non fuggire di fronte a questa situazione esistenziale. La fuga è infatti l'illusione di trovare altrove o diversamente una liberazione da questo pensiero.Altri rimedi per l'accidia sono la pazienza e la stabilità. La stabilità è la capacità di perseverare, di continuare un cammino anche se si è tentati di interrompere la via che si è intrapresa. E un tempo in cui ci è data la possibilità di perseverare è il quotidiano: rimanere nel quotidiano, senza "sognare la vita" fuggendo dalla sua precarietà. Ciò comporta una rinuncia a tutte quelle illusioni che ci appaiono come alternative al presente; comporta accettare se stessi e l'altro; comporta accogliere le fatiche dei propri impegni o il peso della comunità in cui siamo inseriti.
Per combattere l'accidia, insomma, bisogna ritrovare uno scopo e riprendere gusto per una vita vera.
"Noi abbiamo tre personalità naturali: il bambino, l'adulto, il genitore. Il bambino non è autosufficiente e dipende dagli altri. L'adulto è autosufficiente ma si dedica soltanto a se stesso. Il genitore si dedica agli altri e quindi è l'unico capace di amare. Tutti noi dovremmo compiere questa evoluzione naturale. Ma pochi lo fanno. Una gran parte di persone rimangono bambini. E' la nevrosi infantile. Essa dà luogo a disturbi anche gravi come ansia, angoscia, attacchi di panico, paura, depressione, ecc.
Il bambino ha sempre bisogno di qualcuno che gli faccia le coccole. L'adulto si fa le coccole da solo e non ha bisogno di nessuno. Il genitore è l'unico capace di fare le coccole agli altri. Sull'equilibrio e lo sviluppo di queste tre personalità, che coesistono in noi, si giocano tutta la nostra vita, il nostro benessere, il nostro rapporto con gli altri, la nostra felicità. In natura, in noi e negli animali, le tre personalità si sviluppano armonicamente e in tempi precisi. Purtroppo però, nelle società industrializzate ricche e iperprotette l'evoluzione naturale non avviene, e noi rimaniamo bambini. Questa è la base di tutte le nostre nevrosi. Paure, fobie, panico, ansia, depressione sono tutte manifestazioni di una personalità infantile non evoluta, sempre alla ricerca di amore, di sicurezza, di coccole."
(Giulio Cesare Giacobbe, Alla ricerca delle coccole perdute)
" Per diventare stronzi bisogna però prima capire cosa sono veramente gli stronzi. E perché, nonostante tutto, ci attirano tanto.
In cosa consiste il loro fascino discreto. Stronzo vuol dire adulto. E tutti, vogliamo diventare adulti. Ma pochi ci riescono."
(Giulio Cesare Giacobbe, Il fascino discreto degli stronzi)
"noi non siamo cigni. noi siamo squali."
("Tra le nuvole", film di Jason Reitman con George Clooney, basato sul romanzo Up in the air di Walter Kirn)
"io sono quella cazzo di Ibiza"
("About a boy", film di Paul e Chris Weitz, con Hugh Grant, tratto dall'omonimo libro di Nick Hornby)
numero quattro: anche se sono confusa e non so cosa fare, questo non significa che io non sia felice.
La cicala e la formica Per tutta l’estate la cicala consumava e la formica investiva. “Stai agendo in modo molto irrazionale - ammonì la formica - quando verrà l’inverno te ne pentirai”. “Sarò assai infelice – replicò la cicala – ma sto agendo in modo razionale. Essere razionale coincide con l’essere felice, e al momento il mio piacere supera il dolore futuro. Unisciti a me e canta al sole!”. “Secondo me – rispose la formica – essere felici consiste nel massimizzare l’utilità su tutto l’arco dell’esistenza. L’infelicità e la felicità hanno un peso costante. Dunque, per essere razionale, devo darmi da fare e investire per l’inverno”. Venne l’inverno e la cicala era affamata. Chiese aiuto alla formica. “Vorrei poterti aiutare – disse la formica – ma, essendo razionale, non posso preferire il tuo benessere al mio: non hai nulla da darmi in cambio. Non ti senti in colpa per aver cantato tutta l’estate?”. “Molto in colpa – rispose la cicala – proprio come avevo previsto. Ma l’adesso è l’adesso, allora avevo agito in modo razionale. Sei tu che sei irrazionale nel proibirti di darmi un aiuto”. La formica ci pensò. Ma aveva soltanto cibo sufficiente per finire l’inverno. “L’adesso, per me, è tutta la vita – spiegò – ma ti posso aiutare in un altro modo. Vedi le foglie dell’albero di Epicuro? Sono deliziose e nutrienti. Ma dopo un certo tempo ti ammalerai. Io non posso mangiarle, perché calcolo la felicità su tutto l’arco dell’esistenza. Ma per te l’estasi presente supera l’infelicità futura”. La cicala mangiò le foglie e finì per ammalarsi. “Ne vale la pena?” – chiese la formica alla cicala ormai agonizzante. “Non vale adesso, ma valeva prima” – rispose la cicala. E la formica: “Devo dirti una cosa, ma non so se per te sia una buona notizia. C’è un antidoto!”. “Presto! Presto!” – esclamò la cicala. “Credo che tu non possa usarlo – ribattè la formica – perché prima ti fa stare molto male e solo in seguito ti fa guarire”. “Brutta notizia – concluse la cicala – dato che io non posso investire per la felicità futura. Addio”. La cicala morì, e la formica visse una grigia esistenza, evitando occasioni di felicità che avrebbero potuto trasformarsi in infelicità future. Ormai molto vecchia, si disse: “è triste non poter quasi mai fare quello che si vuole, ma condurre un’esistenza felice rende la vita assai dura”.
Mandarino per nascita e per elezione, a orologeria per necessità.
politicamente scorretta, vivo libera da ogni convenzione e religione, tutti i giorni reinvento il mio mondo e ridò la carica al mio trenino a molla