di Lucia del Grosso
http://www.youtube.com/watch?v=VcC1sXsu6Sw
Questa stringa di segni e lettere apparentemente mischiati alla rinfusa senza formare alcun apparente significato contiene uno spicchio di male. Ci si va sopra con il cursore, una lieva pressione del dito e la stringa sboccia come un fiore: sbocciano le immagini di un rastrellamento di palestinesi. Di un uomo che viene trascinato via dai militari israeliani mentre protesta. Di un bambino che urla, si ribella, si aggrappa a suo padre per non farselo portare via. Di militari che lo afferrano e lo allontanano. Di chi la violenza la subisce e chi la fa. Uno sguardo pietoso o mercenario ha racchiuso quella scena in un video e l'ha scagliata tra le onde del web, che la sta propagando in cerchi sempre più ampi. E tutto il mondo rimbomba del pianto di quel bambino. Si ode qualche parola concitata del padre mente lo stanno portando via, forse una parola di consolazione a suo figlio, o qualche raccomandazione ai suoi cari, o una bestemmia e poi niente altro. Le urla delle vittime e il silenzio dei colpevoli. Che tacciono mentre fanno coscienziosamente il loro lavoro, senza metterci nemmeno un grammo di brutalità in più. Un giovane militare afferra il bimbo per le braccine e lo separa da suo padre, forse gli dice pure "Non piangere, papà ritorna, vedrai!". Il bimbo cade a terra, ma siamo poi tanto sicuri che sia stato spintonato? Forse è stato solo involontariamente colpito dalla mano che stava cercando di non fargli raggiungere il padre. Una rapida occhiata per controllare di non aver combinato un guaio, è sempre una rogna se si ammazza un bambino, e poi via, a finire il compito assegnato. Una roba quasi pulita, c'era più violenza nelle manganellate agli Aquilani. Un lavoro fatto bene senza inutile spargimento di sangue, se c'era da sparare lo si faceva, senza godimento e senza dolore, ma meglio così, che non si sprecano le munizioni. Cosa riserverà la sorte a quel padre e a quel bimbo privato di affetto e mezzi di sostentamento quei militari non lo sanno, non lo vogliono sapere e anche se volessero saperlo non sarebbe di loro competenza, sono responsabili solo dell'efficiente e puntuale esecuzione degli ordini impartiti, che se eseguiti bene danno diritto ad una promozione, un avanzamento di carriera o ad un'altra ricompensa. Non sono mostri quei militari, sono travet del male, gente che mette solo un tassello all'immenso mosaico della perfidia del mondo, ma non sono responsabili nè del disegno, nè dei colori che ne verranno fuori. Devono pensare solo a mettere bene la loro tessera. Perché il male non ha le corna, la coda e i piedi caprini, ma è solo un grande apparato in cui si è irregimentati, una roba noiosa come le otto ore di ufficio, non è gente strana quella che fa le grandi porcate, è gente che timbra il cartellino. Come ad Abu Ghraib. "Se l'intelligence militare ti chiede di fare una cosa non puoi far altro che obbedire. Ridevo per sopportare quello che facevo" ha dichiarato Charles Graner, uno dei torturatori. "Quelle immagini? Era il mio lavoro. Eseguivo gli ordini, io non ho colpe" ha fatto mettere a verbale Lynndie England, secondina di quel carcere dove si facevano tutte quelle belle robe. E poco importa se ti piace o ti fa schifo, ci sono impiegati motivati e altri meno, ma poi alla fine fanno tutti la stessa cosa. E ogni volta che la televisione o Youtube ci mostra uno spicchio di male rimaniamo increduli e impietriti come se quella violenza venisse da una strana razza di alieni. E invece non solo è roba umanissima, ma anche ordinaria, stupida e, benedetta Arendt, banale: "E' anzi mia opinione che il male non possa mai essere radicale, ma solo estremo; e che non possegga nè una profondità, nè una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo nella sua superficie. E' una sfida al pensiero, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che si interessa al male viene frustrato, perché non c'è nulla. Questa è la banalità. Solo il bene ha profondità e può essere radicale". Rileggo queste righe e non posso fare a meno di pensare che il mondo poco profondo, senza ancoraggi, fluido della globalizzazione sia un terreno ancora più fertile di quello del secolo scorso per incubare il male. Che quel mondo liquido da cui stanno evaporando tutti i valori e che rispetta solo le leggi della competizione sia lo scenario più adatto a rappresentare l'insulsa commedia del male. Che quel mondo che sta recidendo tutte le radici covi il male per sostituirlo al senso.
"Cos'è che in noi mente, uccide, ruba?" Georg Büchner, Woyzeck
martedì 10 agosto 2010
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